Segreti, miti e leggende tramandate nei secoli. Storie fantastiche, leggende e aneddoti inspiegabili che raccontano di riti ancestrali, pratiche magiche e di strane creature: queste sono le Marche misteriose, un aspetto di questa regione tutto da scoprire.
Svetta su tutti i luoghi misteriosi delle Marche e in particolare nella provincia di Ascoli Piceno, quello della magica, storica e allo stesso tempo leggendaria Sibilla, che ha dato il nome alla Grotta della Sibilla o Grotta delle Fate, situata sui Monti Sibillini a oltre 2.000 metri di altezza. Sembra che questa grotta sia stata la porta d’accesso al regno sotterraneo della Regina Sibilla, antica sacerdotessa, depositaria di segreti ancestrali in grado di predire il futuro e intermediare tra l’uomo e Dio. Collegata ad essa ai piedi dei Monti Sibillini, si trova l’antica Chiesa di Santa Maria in Pantano del VIII secolo, nei pressi del Castello di Santa Maria, a 1200 metri di altezza, dove si incontrano cultura pagana e cristiana. Gli affreschi di questa chiesa sono particolarmente originali e accanto agli episodi evangelici sono state rappresentate anche le sibille. Alla grotta suggestiva e al mito della Sibilla è dedicato il Museo della Grotta della Sibilla a Montemonaco (AP) che conserva leggende, fotografie storiche e studi sul mito marchigiano.
Connesso a questo celebre mito è il Lago di Pilato (AP), celato dalle più alte vette dei Monti Sibillini, è ancora oggi avvolto nelle nebbie della leggenda. Si narra che chi lo guardò per la prima volta vide le sue acque completamente rosse e pensò di essere arrivato nel luogo in cui, per qualche via misteriosa e ignota, il regno dei viventi entrava in comunicazione con quello sotterraneo dei morti. Fu da allora che streghe, stregoni e negromanti iniziarono a frequentarlo per celebrarvi i loro riti magici e per consacrare nelle sue acque il famoso “Libro del Comando”. L’origine del suo nome è molto antica: si racconta che Ponzio Pilato, prima di morire, chiese all’imperatore Tiberio di far trainare il suo cadavere dai bufali finché non fosse trovato un luogo degno per la sua sepoltura. Giunto fino ai Monti Sibillini, il suo corpo fu gettato nelle acque del lago, dove scomparve per sempre, inghiottito dai suoi rosseggianti flutti. A corroborare tutte le credenze sorte attorno al lago, vi è una Grande Pietra conservata al Museo della Sibilla e recante incisioni misteriose, trovata proprio sul fondo delle sue acque.
Arrivare fino al lago e avere di fronte lo spettacolo di una natura incontaminata, che muta in base alle condizioni meteorologiche, rende di nuovo vive tutte le leggende che aleggiano attorno ad esso.
Nel nord delle Marche con un ricco patrimonio artistico-culturale e paesaggistico, si rimane invece estasiati dalla bellezza di questa terra, dove nella zona del Parco Sasso Simone e Simoncello, in provincia di Pesaro-Urbino, intorno alla metà del Cinquecento due architetti, Giovanni Camerini e Simone Genga, progettarono la Città del Sole, concepita come una città ideale ed utopica, esempio di perfetta armonia tra architettura, natura e spiritualità. Di questa architettura, rimane una strada lastricata simbolo di un sentiero che correva verso quello che sembrava l’Olimpo, ovvero il promontorio dove fu edificata questa città, di soli 300 abitanti e abbandonata nel 1673 a causa delle avverse condizioni climatiche. Chiunque si addentri nel Parco è pervaso ancora oggi da un’aura di spiritualità, soprattutto nella zona della Città del Sole, una sorta di Gerusalemme celeste sognata ma mai del tutto realizzata.
In questi luoghi ha preso vita anche la leggenda della Brambolona, ambientata sulle colline che fiancheggiano il fiume Metauro. In questo posto, secondo i racconti popolari, all’epoca del Duca Federico da Montefeltro Signore di Urbino, esisteva un castello, detto di Gaifa con una torre e una campana, suonata in tempo di guerra. Pare che verso il XV secolo una grossa frana distrusse gran parte dell’edifico, ma la campana si salvò e venne fatta costruire velocemente una torre di legno che doveva essere provvisoria. Questa sistemazione non consona alla campana, troppo esposta alle intemperie, durò per molto tempo, tanto che ogni inverno, questa si inghirlandava tutta di ghiaccioli cioè di “Bromboli” in dialetto, da cui deriva il nome Brombolona. La campana fu contesa tra il Conte di Gaifa e il Conte Primicilio, che una notte riuscì a rubarla dandole una nuova sistemazione, più consona e all’interno di un castello fortificato.